I PROBLEMI GIURIDICI DEL NOSTRO TEMPO E LA PARTECIPAZIONE FINANZIARIA DEL LAVORATORE AI PROFITTI DELL’AZIENDA
I - I PROBLEMI GIURIDICI DEL NOSTRO TEMPO
I problemi giuridici del nostro tempo, ma anche quelli della societa’ in cui viviamo, sono individuati mirabilmente nell’insegnamento di uno dei maestri del diritto contemporaneo, Giuseppe Capograssi.
Per l’insigne studioso la grande crisi del diritto moderno e’ da ricercare nel fatto che l’uomo non e’ piu’ al centro dell’ordinamento. “Al posto delle persone subentrano le cose….” afferma il Capograssi, e prosegue: “ la societa’ stessa cessa di essere una societa’ di persona: diventa un insieme di processi produttivi ed obiettivi……Di conseguenza, per far vivere la societa’ bisogna seguire la volonta’ obiettiva della cose e non la volonta’ subiettiva degli individui. Questi processi obiettivi sono sovrani e sacrificano – come, dove piu’ o meno avviene dovunque – volonta’ e soggetto”
L’individuo non e’ piu’ all’altezza, non e’ piu’ al livello della sua esperienza sociale e storica, l’esperienza non e’ piu’ all’altezza dell’uomo, perche’ supera infinitamente l’individuo
Centri e posizioni fondamentali della vita giuridica sono naturalmente trascinati e trasformati da queste necessita’.
Lo Stato e’ stato costretto a diventare il soggetto di molti mestieri per supplire all’impotenza dei privati e soprattutto diventare il distributore, il ripartitore di benessere e sicurezza sociale.
Le forze sociali “tentano di fare dello Stato il portatore di questa o di quella dottrina , per servirsi della forza dello Stato e imporre a mano armata la dottrina stessa.”
Tutti i problemi diretti della vita sociale , che prima erano di privata competenza dell’individuo, diventano giurisdizione dello Stato. Questo fatto trasforma radicalmente il diritto e nella sua essenza, la legge.
La proprieta’ tende a diventare qualcosa di diverso, non e’ piu’ il rapporto tra le persona e la cosa, ma il rapporto tra la cosa ed i processi delle varie utilizzazioni che si possono trarre dalla cosa. Accanto alla proprieta’ senza proprietario c’e’ il soggetto che non e’ piu’. Il soggetto tende a diventare funzione sociale. Il contratto tende a diventare l’atto di adesione a questo o a quell’ordinamento istituzionale che deve accettare il rapporto nel quale entra.
L’individuo non domina piu’ nel col pensiero ne’ con l’azione l’esperienza e questa si e’ organizzata in un sistema di interessi, di movimenti, di organismi, di formazioni che trascendono l’individuo
Lo Stato diventa cosi’, inevitabilmente onnipotente.
Le costituzioni attuali sono perfettamente staccate dalla realta’ poiche’, ingenti parti di esse non sono svolte ne’ applicate.”
Nell’analisi lucida e spietata del Capograssi, si coglie anche il pericolo che l’individuo perda la nozione elementare di quello che e’ la sua vita umana, l’umanita’ della vita.
I fatti sono andati proprio cosi’ come li racconta il Capograssi.
Nei nostri scritti, da tempo, abbiamo affermato con convinzione che l’uomo non e’ piu’ al centro della societa’ e di conseguenza non e’ piu’ al centro dell’ordinamento giuridico, perche’ l’impulso del tempo moderno e’ stato quello di reimpostare la societa’ dapprima sullo Stato e solo successivamente sull’uomo.
E sullo Stato si e’ costruita una civilta’. La civilta’ statale.
Il processo che si e’ verificato era senza dubbio inarrestabile perche’ l’uomo aveva la necessita’ di porsi e di contrapporsi rispetto al mondo con le sue strutture, con i suoi organismi pluricollettivi e plurinazionali.
Ora pero’ occorre ripercorrere il sentiero gia’ tracciato per costruire una civilta’ in cui l’uomo sia nuovamente posto al centro della societa’ e nello stesso tempo sia mantenuto nei corretti limiti il potere degli enti che egli istituisce.
L’individuo e lo Stato devono tornare in armonia.
Oggi non lo sono.
Ma se la societa’ sana ha bisogno che ritorni l’uomo a governarla, l’uomo sano ha bisogno di un nuovo diritto.
In effetti il diritto moderno, apparentemente, sembra che tuteli l’individuo esclusivamente considerato, ma in realta’ spesso e’ difeso quasi esclusivamente il singolo quale facente parte di un complesso piu’ grande rispetto al quale, puo’ essere, se possibile, subordinato: la nazione, lo Stato, l’associazione, la categoria, la lobby, il partito.
La tutela dell’uomo singolo non e’ che manchi del tutto, ma e’ sottoposta a tutta una serie di ostacoli e preclusioni che ne riducono l’operativita’.
In effetti, il diritto e’ in crisi perche’ l’uomo e’ in crisi rispetto ad una societa’ che sempre piu’ lo ridimensiona e ridimensiona la sua esperienza. Cosicche’ tutti i problemi diretti della vita sociale, che prima erano di privata competenza dell’individuo, diventano di giurisdizione dello Stato.
Questo fatto non puo’ non trasformare radicalmente il diritto e nella sua essenza, la legge.
E cosi’ abbiamo visto che, in linea con il Capograssi, si riscontra oggigiorno una mancata tutela diretta dell’individuo perche’ il diritto moderno spesso difende esclusivamente il singolo in via subordinata rispetto a quegli insiemi che nella societa’ sono inevitabilmente piu’ grandi di lui: la nazione, lo Stato, l’associazione, la categoria, la lobby, il partito.
Da qui il problema del diritto contemporaneo: ristabilire un rapporto armonico tra il cittadino, il giudice, l’ordinamento giuridico, lo Stato
E cosi’ occorre ridisegnare i contorni di un rapporto che possa consentire di ristabilire la giusta posizione dell'individuo nella societa' e soddisfare l'insopprimibile esigenza di giustizia a cui l’uomo anela.
Per fare tutto questo occorre rimettere al centro dell’ordinamento il singolo
Le norme, gli istituti giuridici, gli organi giudiziari, i difensori, esistono in quanto per prima cosa esiste lui, il singolo rispetto al quale occorre dare giustizia. Naturalmente l’esigenza di avere giustizia nell’uomo deve essere soddisfatta tenendo conto anche altre componenti del sistema giustizia, perche’ sono tutte indispensabili.
Ma al primo posto deve essere posto l’individuo.
E, anche al centro del diritto del lavoro deve essere messo l’uomo.
LA PARTECIPAZIONE FINANZIARIA DEL LAVORATORE AI PROFITTI DELL’AZIENDA
A - GLI ELEMENTI DEL CONTRATTO DI LAVORO
La tradizionale configurazione del contratto di lavoro pone correttamente l’accento sulla sua principale caratteristica : la situazione di subordinazione in cui la parte lavoratrice viene a trovarsi rispetto all’imprenditore.
Dalle stesse norme del codice civile si ricava tale elemento in quanto si stabilisce che il prestatore di lavoro subordinato “si obbliga a collaborare nell’impresa . . . alla dipendenza e sotto la direzione dell’imprenditore( art. 2094 c.c.) e che “l’imprenditore e’ il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”( art. 2086 c.c.
La subordinazione del lavoratore si esprime da parte del lavoratore principalmente nei doveri di fedelta’ e di obbedienza e da parte dell’imprenditore nel potere direttivo e disciplinare rispettivamente imposti e riconosciuti da precise norme del codice.
Nonostante l’elemento della subordinazione debba considerarsi elemento portante e indispensabile per l’organizzazione della produzione e nonostante rifletta quella che e’ effettivamente una realta’ materiale del mondo dell’impresa, l’individuazione di esso come elemento intorno al quale configurare o meno il rapporto di lavoro rispetto al rapporto di diversa natura non ha giovato molto all’enucleazione di alcuni aspetti profondi della natura del lavoro.
Ma attualmente sono presenti nella dottrina e nella pratica in materia alcuni aspetti del contratto di lavoro che ne hanno ampliato la prospettiva.
Il discorso non e’ puramente teorico, ma ha effetti importanti, che si riflettono direttamente su uno dei problemi principali della nostra epoca, quello della difficolta’ di trovare lavoro. E comunque il lavoro risulta sempre piu’ costrittivo e senza garanzie.
Si avverte una tendenza che sembra inarrestabile ed al di sopra di qualsiasi controllo e al riguardo si auspica un piu’ rilevante intervento dello Stato.
Eppure, la chiave se non per la risoluzione di tutti i problemi del mondo del lavoro, ma quantomeno per l’incisivo attenuamento degli stessi e’ a portata di mano.
Occorre considerare che nell’attivita’ del lavoro il lavoratore, come uomo, esercita una delle piu’ alte facolta’ umane e spirituali.
Occorre rimettere questo elemento al centro della tutela giuridica e sociale. Non l’azienda, non l’impresa, non gli interessi sociali, non il solo dipendente, ma l’uomo.
L’uomo e cioe’ lo spirito dell’uomo che opera attraverso il lavoro, deve essere portato al centro dell’ordinamento giuridico.
D’altronde, nell’insegnamento di uno dei maestri del diritto contemporaneo, Giuseppe Capograssi la grande crisi del diritto moderno. E quindi della civilta’ moderna, e’ da ricercare nel fatto che l’uomo non e’ piu’ al centro dell’ordinamento. “Al posto delle persone subentrano le cose….” afferma il Capograssi, e prosegue: “ la societa’ stessa cessa di essere una societa’ di persona: diventa un insieme di processi produttivi ed obiettivi……Di conseguenza, per far vivere la societa’ bisogna seguire la volonta’ obiettiva della cose e non la volonta’ subiettiva degli individui.
Tuttavia, la nostra Costituzione delinea un progetto di società e di stato al cui centro colloca la persona umana, l’uomo (1)
I diritti sono, prima ancora che della società e dello Stato, dell’uomo stesso. E l’uomo visto dalla nostra costituzione è l’uomo concepito nei momenti essenziali della sua esistenza, quello che si realizza nella società nella sua multidimensionalità, materiale ed immanente, spirituale e trascendente (2).
Infatti, la Costituzione garantisce tutta una serie di diritti civili, politici e sociali, che riguardano l’uomo, ma altresì tutta una serie di altri valori che si riconnettono alla personalità dell’uomo, valori che emergono dalla realtà sociale (3).
E tali valori devono essere realizzati nell’ambito di un armonico rapporto con le formazioni sociali e soprattutto in materia lavorativa.
In particolare, nella nostra Costituzione era stato mirabilmente individuata la regola che stabilisce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende ( art. 46 Cost.) principio che tuttavia, non e’ stato applicato.
B – LA PARTECIPAZIONE FINANZIARIA DEI LAVORATORI
Il principio costituzionale della partecipazione del lavoratore subordinato alla gestione significa che egli puo’ compartecipare alla realta’ gestionale ed economica dell’azienda e pertanto rappresenta lo strumento migliore per ricondurre al centro della materia del lavoro l’uomo. (4)
Purtroppo, l’art. 46 della Costituzione che prevede il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, proprio perche’ probabilmente l’articolo non si sposava con un modo di pensare armonico del problema lavoro, non e’ stato applicato.
Tuttavia, l’aspetto positivo e’ che nuove forme di retribuzione e di partecipazione finanziaria sono state adottate.
Intanto il concetto di giusta retribuzione di cui all’art. 36 Cost( il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita’ e alla qualita’ del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa) e’ divenuto un articolo direttamente applicabile ai rapporti contrattuali per via giudiziale.
Inoltre, sono state tentate varie forme di una variazione della retribuzione legata alla produttivita’ e redditivita’, anche se in Italia, a differenza di altre nazioni, non hanno avuto gran successo.
Gli e’ che il nostro sistema delle relazioni industriali e’ risultato particolarmente timido rispetto a tali forme partecipative, anche perche’ sussiste una tradizionale diffidenza rispetto al mondo imprenditoriale
In realta’ l’insuccesso italiano di queste nuove formule e’ da addebitarsi principalmente al sistema. In particolare tali riforme , in quanto non accompagnate da una opportuna incentivazione di tipo fiscale o previdenziale, come avviene in Francia, erano destinate al fallimento.
Non si tratta tuttavia di un fatto negativo, perche’ se il sistema – comprensivo purtroppo del comportamento dei sindacati - ha determinato un insuccesso delle nuove figure, quest’ultime hanno lasciato il segno nell’ambito dei rapporti lavorativi.
Lo dimostra il fatto che la materia e’ ancora oggetto di utili iniziative in tal senso.
Sotto questo aspetto, giova ricordare la sempre maggiore diffusione ed attenzione del legislatore all’istituto della associazione partecipazione; al riguardo, la tutela economica del socio lavoratore ha trovato nella L. n. 142/2001 il suo compimento. Tale legge ha notevole importanza perche’ distingue il socio lavoratore non subordinato e il socio lavoratore subordinato. Inoltre consente di erogare anche un trattamento che equivale ad un utile di gestione.
In tutta Europa, poi, vi e’ uno spiccato interesse verso le forme di partecipazione finanziaria dei lavoratori all’impresa. Tale interesse ha trovato spazio nella Direttiva 22.9.1994 riguardante una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese a cui il legislatore italiano ha dato attuazione con il d.l.g. 2.4.2002 n. 74.
Inoltre il regolamento n. 2157 del 2001, relativo allo Statuto della societa’ europea, prevede che le norme relative al ruolo dei lavoratori nella societa’ europea siano oggetto della direttiva 8.10.01 n. 2001/86/CE, che completa lo statuto della societa’ europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori. Anche gli artt. 21 e 22 della Carta Sociale Europea resa esecutiva con L. 9.2l.1999 n. 30, sanciscono il diritto del lavoratore all’informazione, alla consultazione ed alla partecipazione.
Infine la Direttiva 11.3.2002 n. 2002/14/CE stabilisce prescrizioni minime riguardo al diritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori (5)
Questo nonostante il fatto che in materia occorre affrontare incertezze terminologiche e concettuali che concernono una materia, quella della partecipazione finanziaria, che abbraccia numerosi e complessi istituti difficilmente armonizzabili.
In ogni caso, il panorama internazionale presenta tutta una serie di istituti rientranti nel sistema della partecipazione finanziaria dei lavoratori. Si evidenzia, in Germania, sia l’incentivo alla sottoscrizione di quote sociali dell’impresa con esonero parziale dall’ìmposta sul reddito e dai contributi sociali, sia i programmi che permettono ai dipendenti di divenire azionisti grazie a prestiti senza interesse da parte dei datori di lavoro. Si riscontra , in Belgio, una legge che riguarda incentivi per l’acquisto di azioni di una impresa da parte dei dipendenti tramite deduzione fiscale. In Spagna, il legislatore ha previsto una nuova regolamentazione delle societa’ di lavoratori, cioe’ quelle societa’ in cui la maggioranza del capitale sociale e’ in mano ai lavoratori. In Olanda una legge tende a favorire l partecipazione al capitale e agli utili e a promuovere il risparmio dei dipendenti. Nel Regno Unito, tra l’altro, e’ previsto un fondo di investimento a favore dei dipendenti. In Grecia ed in Irlanda il governo ha incoraggiato l’istituto in questione.
E’ evidente che spesso si intende realizzare soltanto la c.d. “partecipazione debole” , cioe’ quella partecipazione del dipendente al capitale di un’impresa intesa come strumento per aumentare la sua sensibilita’ sulle performances dell’impresa e come tale come meccanismo di incentivazione. Tuttavia, questa ha gia’ una sua utilita’ ; comunque e’ innegabile che la partecipazione ha piu’ possibilita’ di successo qualora venga collocata in un piu’ ampio e completo quadro di coinvolgimento dei lavoratori.
Questo profilo e’ di estrema importanza e si potra’ attuare tramite confronti con informazioni e consultazioni tra i lavoratori e i rappresentanti dell’impresa su tutte le questioni aziendali.
In sostanza sulla positivita’ della partecipazione come complesso di diritto di informazione e di consultazione dei lavoratori non vi possono essere dubbi. Sulla partecipazione economica e finanziaria al rischio o al capitale d’impresa neppure. I dubbi sorgono rispetto alla partecipazione come presenza dei rappresentanti dei lavoratori negli organi societari di amministrazione o di vigilanza
Sul piano piu’ propriamente italiano la formula fatta propria dalla Confindustria e’ quella del considerare positive le azioni date ai dipendenti se le imprese sono quotate in borsa, ma senza obiettivi di cogestione.
Si tratta di una posizione sulla quale si puo’ convenire, anche perche’ l’obiettivo della partecipazione finanziaria dei lavoratori all’impresa, puo’ non investire, a meno che le parti espressamente non lo vogliano, anche la gestione dell’azienda. Questo, nonostante l’art. 46 della Costituzione, come abbiamo visto, preveda il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende.
Questo perche’ la partecipazione, a differenza di altre forme di collaborazione nel lavoro e del lavoro nelle cooperative ( nelle quali i lavoratori hanno diritto a partecipare sia gli utili che al processo decisionale), non implica necessariamente poteri decisionali.
Ma l’aspetto piu’ positivo della partecipazione non riguarda la cogestione, ma riguarda il profilo piu’ personale del lavoratore perche’ solo questo regime consente che quest’ultimo possa considerare che ogni gesto da lui compiuto durante il lavoro in azienda non venga utilizzato soltanto dall’azienda, ma sia soltanto per una piccola percentuale, produca effetti patrimoniali anche nei suoi confronti.
L’istituto in questione, per trovare applicazione necessita di due presupposti imprescindibili, almeno in ambito europeo: l’adeguamento della normativa giuridica e il coinvolgimento delle parti sociali.(6)
L’istituto in questione, dovrebbe riguardare tutte le tipologie di lavoro subordinato per essere esteso ai dipendenti delle societa’ controllate, controllanti o collegate, nonche’ anche agli ex dipendenti ancora in possesso di azioni di societa’. Ma soprattutto, i piani di partecipazione dovrebbero applicarsi ai lavoratori utilizzati mediante contratti di collaborazione coordinata e continuativa e a progetto (7)
La partecipazione finanziaria, inoltre, dovrebbe riguardare anche le piccole e medie imprese, poiche’ anche in tale ambito il lavoro del dipendente deve essere rivalutato dallo stesso verso un fine che non e’ solamente il salario o lo stipendio.
Naturalmente, i piani dovrebbero essere definiti unilateralmente dall’impresa ma concertati in sede sindacale.
Per la realizzazione di tale obiettivo occorre pero’ che l’attuale atteggiamento spesso ideologico nel settore del lavoro passi il testimone a una nuova maniera di considerare il lavoro, in cui l’uomo e’ al centro e le parti sociali armonizzino le proprie scelte nel contesto di un unico insieme nel quale i singoli elementi del fattore lavoro – l’uomo e le parti sociali - fanno parte di un tutto inscindibile , una cosa completamenente unitaria, in maniera tale che se una parte e’ in difficolta’ l’altra non puo’ non risentirne negativamente.
Le politiche governative, poi, dovrebbero pesantemente operare tramite sgravi fiscali.
Inoltre, la parte aziendale dovrebbe compiere il movimento concettuale piu’ incisivo. Si tratta di comprendere che a qualsiasi soggetto che svolga attivita’ di lavoro in favore di un altro soggetto per qualsivoglia fine considerato lecito, deve riconoscersi anche un piccolo frutto di quello che in comune si e’ realizzato. Tale frutto puo’ essere minimo, ma non puo’ limitarsi al mero salario. Deve trattarsi di una partecipazione al guadagno comune, che puo’ essere anche molto limitata, ma che non puo’ del tutto mancare. Il salario puo’ allora costituire la gran parte del dovuto, ma una piccola parte deve costituire una partecipazione.
Positivamente deve essere visto il Profit Related Pay, previsto nel Regno Unito, con il quale si versa ai dipendenti una somma legata agli utili d’impresa in cui lavorano; tale partecipazione puo’ aggiungersi allo stipendio o sostituirvisi in parte ed il suo ammontare puo’ variare tra l’1% ed il 20% della remunerazione totale. Il sistema prospettato e’ simile ai plans de participation francesi che prevedono l’accantonamento di una parte degli utili dell’impresa in un fondo destinato ai dipendenti nel quadro di ampi incentivi fiscali
Al sistema prospettato si avvicina anche il regime di interessenza francese (L del 25.7.94) e cioe’ un accordo tra lavoratori e datore di lavoro, che permette di destinare ai dipendenti parte degli utili d’impresa mediante erogazione di premi in denaro. Il premio versato e’ legato all’aumento di produttivita’ e alla realizzazione degli obiettivi dell’azienda. Le erogazioni sono deducibili dal reddito imponibile dell’impresa ed esenti da contribuzione previdenziale. Il premio versato al dipendente non e’ soggetto ad imposta se viene versato su un piano di risparmio aziendale
In sostanza, con il regime auspicato non si elimina il profitto che spetta a chi ha investito, non si elimina il profitto di chi ha avuto una idea, non si elimina il reddito d’impresa,ma si inserisce l’elemento partecipativo nel quadro del rapporto contrattuale lavorativo.
Nel tempo, il lavoro e cambiato ed e’ passato dalla vecchia idea dell’organizzazione del lavoro della fabbrica fordista incentrata cioe’ su rapporti giuridici statici di mera subordinazione e gerarchia a quella nuova che rifugge la contrapposizione tra lavoro automono e lavoro subordinato (8)
Compartecipando con l’azienda il lavoro cambia e si avvicina anzi si inquadra nell’ottica di sostituire al salario condizioni contrattuali di spartizione dei frutti delle comuni prestazioni tra il datore di lavoro e il lavoratore.
Ed in effetti, se ci si pensa bene, se il lavoro viene sentito dal lavoratore come qualcosa che gli consente di costruire qualcosa anche per se’ e non solo per il datore di lavoro, tale aspetto creera’ un impulso benefico alla attivita’ lavorativa che egli compie. Tale impulso si riverberera’ non solo nei confronti dell’attivita’ del datore di lavoro ma anche verso la societa’ tutta.
Diversi studi in materia hanno dimostrato una positiva associazione tra partecipazione finanziaria del lavoratore e realizzazione degli obiettivi aziendali, anche se dovrebbe essere accompagnato da provvedimenti fiscali e previdenziali favorevoli.
Tuttavia, affinche’ la partecipazione finanziaria del lavoratore abbia degli effetti generali sull’intero tessuto sociale e’ necessario che l’intero sistema la consideri come la forma piu’ naturale e produttiva del mondo del lavoro. In sostanza, la partecipazione finanziaria dovrebbe costituire l’elemento portante nel nuovo sistema del lavoro.
In questo quadro attivita’ svolte in un puro regime di subordinazione come avviene adesso non dovrebbero essere consentite, se non come eccezioni e per particolari obiettivi di natura sociale.
In sostanza chi vuole l’aiuto di un lavoratore per realizzare qualcosa con lui dovrebbe essere messo dall’ordinamento nella condizione di riconoscere al suo aiutante una spartizione dei frutti delle comuni prestazioni, magari minima, spesso attuata una parte tramite partecipazione, una parte tramite salario.
Chi vuole raggiungere un proprio fine tramite il lavoro di un altro soggetto o accetta di corrispondere a tale soggetto una partecipazione, seppur minima del proprio ricavato, oppure non puo’ realizzare tale fine, a meno che non decida di farlo da solo. Gli si puo’ consentire di scegliere un lavoratore che si accorda con lui a condizioni partecipative piu’ favorevoli, ma non dovrebbe mai avere la possibilita’ di eliminare del tutto la partecipazione, tranne casi determinati e per particolari obiettivi di natura sociale.
In sostanza il lavoro non dovrebbe giammai essere concepito con l’esclusione della partecipazione finanziaria, sia pur in minima misura, della parte piu’ debole
Tale posizione puo’ sembrare troppo rigida e ingiusta, in ogni caso sopraffacente la domanda e l’offerta di lavoro come spontaneamente tendono a incontrarsi. Ma tali variabili non devono piu’ ignorare che l’impulso del lavoratore, nel profondo, tende ad un riconoscimento minimo finanziario rispetto ai frutti comuni realizzati.
La realizzazione non si presenta senza rischi. Una cattiva applicazione pratica della partecipazione potrebbe comportare effetti peggiori di quelli del lavoro subordinato puro e crudo, ma naturalmente una legislazione ponderata potrebbe tranquillamente tutelare il lavoratore rispetto ad essi consentendogli di verificare e controllare l’effettiva correlazione tra i risultati economici dell’impresa e il salario percepito. Al riguardo, in Francia, e’ stato istituito il Consiglio Superiore della Partecipazione per vigilare proprio sui questi rischi.
C – LA PARTECIPAZIONE COME MEZZO PER LA RISOLUZIONE O PER L’ATTENUAZIONE DEI PROBLEMI ATTUALI NEL MONDO DEL LAVORO
La politica mondiale, per risolvere i problemi del lavoro, si e’ tutta concentrata sulla flessibilita’ della prestazione lavorativa, ma quest’ultima non migliora le condizioni del lavoratore, anzi le peggiora, mentre i risultati sul piano generale sono da considerarsi modesti.
Anche il ricorso alla flexicurity, sposato dalla Comunita’ Europea e mediato dall’esperienza danese, come tentativo di coniugare insieme una maggiore flessibilita’ del mercato del lavoro con una maggior sicurezza rispetto alla occupabilita’,sembra non semplicemente applicabile nelle altre nazioni.
Peraltro, le modifiche introdotte in materia sono osteggiate dai lavoratori che hanno un buon livello giuridico di tutela – i c.d. insider - e le istituzioni tendono a tutelare gli interessi dei soggetti gia’ inseriti nel mercato. Nel frattempo, il problema di inserire nel mercato stabile del lavoro giovani ed anziani lavoratori – i c.d. outsiders – si rende sempre piu’ difficile.
Di fatto, la situazione non e’ cambiata e purtroppo dall’inizio del secolo si va sempre piu’ verificando un impoverimento della considerazione del lavoro nel suo aspetto umano. (9)
Il contesto generale e’ quello della globalizzazione dove se possibile l’elemento umano del lavoro conta ancora meno. Le imprese per diminuire il peso degli oneri sociali ritenuti responsabili del costo di lavoro eccessivo hanno cominciato a utilizzare il c.d. outsourcing, cioe’ l’esternalizzazione di interi processi produttivi per aumentare l’efficienza e la produttivita’ dell’impresa e diminuire i costi.
Attualmente, gli effetti della mancata collocazione del singolo al centro del sistema lavoro, o della mancata tutela umana del lavoratore al centro del diritto del lavoro, produce conseguenze nefaste. I giovani sono molto penalizzati perche’ non riescono a trovare un lavoro a tempo indeterminato e non possono pianificare la propria vita, mentre i propri genitori usufruiscono di tutta una serie di protezioni sociali.
Il lavoro e’ diventato precario.
La partecipazione finanziaria e’ l’unica risposta obiettiva rispetto al problema della diminuzione del lavoro e della precarizzazione dello stesso.
Per utilizzare le parole della Commissione europea (Memorandum sulla Societa’ Europea del 1988), la partecipazione dei lavoratori favorisce il buon funzionamento e il successo dell’impresa grazie all’instaurazione di relazioni stabili fra direzione e dipendenti sul luogo del lavoro; non si riduce alla pace sociale ma “concorre al rafforzamento della competitivita’ dell’impresa e dell’economia del suo insieme, nonche’ alla creazione dei posti di lavoro e sotto questo profilo, rappresenta una condizione imprescindibile per uno sviluppo economico duraturo”(10)
Quando si parla di responsabilita’ sociale d’impresa ( 10 bis)non puo’ non considerarsi che la partecipazione finanziaria del lavoratore ai profitti dell’impresa. Quest’ultima appare costituire uno dei piu’ importanti comportamenti etici da adottare da parte dell’impresa che voglia effettivamente rivolgersi a tutti i consociati sulla base di una politica gestionale che nel primario rapporto con il lavoratore persegue il rispetto di diritti morali e sociali.
In effetti, la partecipazione migliora la vita lavorativa “rimuovendo la percezione unicamente strumentale della prestazione ed aumentando l’individualita’ e l’autostima del lavoratore”(11)
La partecipazione produce obiettivamente un minore assenteismo, una riduzione dei conflitti interni all’impresa; facilita la costruzione di un rapporto di lavoro continuato e duraturo; consente all’impresa di ottenere fondi senza ricorrere a finanziatori esterni e di far risparmiare rispetto ai costi.
L’istituto in esame, verosimilmente, come da molti ritenuto, potrebbe risolvere i problemi legati all’inflazione e alla disoccupazione in quanto si propone di mantenere un livello alto e costante di occupazione senza rischiare di incorrere in una inflazione inarrestabile.
In effetti la partecipazione finanziaria del lavoratore risulta invece una autentica risposta agli attuali problemi del mondo del lavoro: forse non potra’ risolvere di colpo quelli legati all’inflazione e alla disoccupazione, ma potra’ dapprima attenuarne gli effetti; ma in ogni caso costituirebbe l’avvio di un nuovo ciclo sociale in cui al centro del lavoro viene ricollocato l’uomo.
Note
(1) N. OCCHIOCUPO, Liberazione e promozione umana nella Costituzione, Giuffré, 1988, p.15; G. CAPOGRASSI, Il diritto dopo la catastrofe, Scritti, giuridici in onore di F. Carnelutti, Milano, 1950; cfr, inoltre A. RUGGERI - A. SPADARO, Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 1992.; in tema di rilevanza dei diritti dell’uomo nella Costituzione, A. CERRI, Il principio, cit. p. 1828;
(2) G. CAPOGRASSI, L’esperienza in concreto, in Opere, III, Milano, 1959, Il diritto dopo la catastrofe, cit.
(3) N. OCCHIOCUPO cit., p. 76; in senso opposto, F. COLACE, Norme precettive e norme programmatiche nella Costituzione, in Giust. pen., 1951, 136.
(4) Cfr. in tema di riproducibilita’ dei problemi sociali e giuridici nel campo del diritto del lavoro, LIPARI N., Luigi Mengoni ovvero la dogmatica dei valori, Riv. Trim. dir proc. Civ., 2002, 1063; M. GRANDI, Lavoro e valori : note sulla prospettiva assiologica di Luigi Mengoni. Sul rapporto diritti della persona e contratto di lavoro: R. DEL PUNTA, Diritti della persona e contratto di lavoro, Gior. Dir. lav. e rel. ind., 2006, 255; M.P.MONACO, Mercato, lavoro, diritti fondamentali, Riv. giur. Lav., 2001, 299; G.S. PASSARELLI, Le nuove frontiere del diritto del lavoro ovvero il diritto dei lavori, ADL, 2001, 235
(5) Sulla partecipazione in ambito comunitario, cfr: G.ARRIGO, La partecipazione dei lavoratori nel diritto comunitario, Dir. Lav., 2000,I, 381; ed inoltre: N. MIRANDA, La nuova disciplina sul lavoro a termine alla luce della normativa comunitaria, D & L , 2004, 731
(6) In ossequio alla raccomandazione n. 94/444 del Consiglio della Comunita’ Europea
(7) Cosi’ anche BIAGI M., La partecipazione azionaria dei dipendenti tra intervento legislativo e autonomia collettiva, in csmb.unimo.it
(8) M. TIRABOSCHI, Tre anni di Legge Biagi, bilancio e prospettive, dir. rel. ind., 2206,1097
(9) A. PICCININI, Le vie d’uscita dalla precarizzazione, lav. nella giur., 2006, 1175
(10) Parimenti la corte costituzionale tedesca evidenzia il carattere di “vincolo di socialita’” della partecipazione che non puo’ non essere ritenuta inidonea o non necessaria a contribuire a “mantenere la competitivita’ dell’impresa e dell’economia della Comunita’”, come impone l’art. 136 del Trattato dell’UE.
(10 bis) Cfr: Corporate Social responsability, encouraging best behaviour, in http// ec. Europa.eu/enterprise and industry; SACCO P.G, VIVIANI M., La responsabilita’ sociale d’impresa: prospettive teoriche nel dibattito italiano, Economia Pol. 2008, 317.
(11)LIBBRA S. Obiettivi e ragioni socio-economiche a favore della partecipazione finanziaria in csmb.unimo.it
I PROBLEMI GIURIDICI DEL NOSTRO TEMPO E LA PARTECIPAZIONE FINANZIARIA DEL LAVORATORE AI PROFITTI DELL’AZIENDA
I - I PROBLEMI GIURIDICI DEL NOSTRO TEMPO
I problemi giuridici del nostro tempo, ma anche quelli della societa’ in cui viviamo, sono individuati mirabilmente nell’insegnamento di uno dei maestri del diritto contemporaneo, Giuseppe Capograssi.
Per l’insigne studioso la grande crisi del diritto moderno e’ da ricercare nel fatto che l’uomo non e’ piu’ al centro dell’ordinamento. “Al posto delle persone subentrano le cose….” afferma il Capograssi, e prosegue: “ la societa’ stessa cessa di essere una societa’ di persona: diventa un insieme di processi produttivi ed obiettivi……Di conseguenza, per far vivere la societa’ bisogna seguire la volonta’ obiettiva della cose e non la volonta’ subiettiva degli individui. Questi processi obiettivi sono sovrani e sacrificano – come, dove piu’ o meno avviene dovunque – volonta’ e soggetto”
L’individuo non e’ piu’ all’altezza, non e’ piu’ al livello della sua esperienza sociale e storica, l’esperienza non e’ piu’ all’altezza dell’uomo, perche’ supera infinitamente l’individuo
Centri e posizioni fondamentali della vita giuridica sono naturalmente trascinati e trasformati da queste necessita’.
Lo Stato e’ stato costretto a diventare il soggetto di molti mestieri per supplire all’impotenza dei privati e soprattutto diventare il distributore, il ripartitore di benessere e sicurezza sociale.
Le forze sociali “tentano di fare dello Stato il portatore di questa o di quella dottrina , per servirsi della forza dello Stato e imporre a mano armata la dottrina stessa.”
Tutti i problemi diretti della vita sociale , che prima erano di privata competenza dell’individuo, diventano giurisdizione dello Stato. Questo fatto trasforma radicalmente il diritto e nella sua essenza, la legge.
La proprieta’ tende a diventare qualcosa di diverso, non e’ piu’ il rapporto tra le persona e la cosa, ma il rapporto tra la cosa ed i processi delle varie utilizzazioni che si possono trarre dalla cosa. Accanto alla proprieta’ senza proprietario c’e’ il soggetto che non e’ piu’. Il soggetto tende a diventare funzione sociale. Il contratto tende a diventare l’atto di adesione a questo o a quell’ordinamento istituzionale che deve accettare il rapporto nel quale entra.
L’individuo non domina piu’ nel col pensiero ne’ con l’azione l’esperienza e questa si e’ organizzata in un sistema di interessi, di movimenti, di organismi, di formazioni che trascendono l’individuo
Lo Stato diventa cosi’, inevitabilmente onnipotente.
Le costituzioni attuali sono perfettamente staccate dalla realta’ poiche’, ingenti parti di esse non sono svolte ne’ applicate.”
Nell’analisi lucida e spietata del Capograssi, si coglie anche il pericolo che l’individuo perda la nozione elementare di quello che e’ la sua vita umana, l’umanita’ della vita.
I fatti sono andati proprio cosi’ come li racconta il Capograssi.
Nei nostri scritti, da tempo, abbiamo affermato con convinzione che l’uomo non e’ piu’ al centro della societa’ e di conseguenza non e’ piu’ al centro dell’ordinamento giuridico, perche’ l’impulso del tempo moderno e’ stato quello di reimpostare la societa’ dapprima sullo Stato e solo successivamente sull’uomo.
E sullo Stato si e’ costruita una civilta’. La civilta’ statale.
Il processo che si e’ verificato era senza dubbio inarrestabile perche’ l’uomo aveva la necessita’ di porsi e di contrapporsi rispetto al mondo con le sue strutture, con i suoi organismi pluricollettivi e plurinazionali.
Ora pero’ occorre ripercorrere il sentiero gia’ tracciato per costruire una civilta’ in cui l’uomo sia nuovamente posto al centro della societa’ e nello stesso tempo sia mantenuto nei corretti limiti il potere degli enti che egli istituisce.
L’individuo e lo Stato devono tornare in armonia.
Oggi non lo sono.
Ma se la societa’ sana ha bisogno che ritorni l’uomo a governarla, l’uomo sano ha bisogno di un nuovo diritto.
In effetti il diritto moderno, apparentemente, sembra che tuteli l’individuo esclusivamente considerato, ma in realta’ spesso e’ difeso quasi esclusivamente il singolo quale facente parte di un complesso piu’ grande rispetto al quale, puo’ essere, se possibile, subordinato: la nazione, lo Stato, l’associazione, la categoria, la lobby, il partito.
La tutela dell’uomo singolo non e’ che manchi del tutto, ma e’ sottoposta a tutta una serie di ostacoli e preclusioni che ne riducono l’operativita’.
In effetti, il diritto e’ in crisi perche’ l’uomo e’ in crisi rispetto ad una societa’ che sempre piu’ lo ridimensiona e ridimensiona la sua esperienza. Cosicche’ tutti i problemi diretti della vita sociale, che prima erano di privata competenza dell’individuo, diventano di giurisdizione dello Stato.
Questo fatto non puo’ non trasformare radicalmente il diritto e nella sua essenza, la legge.
E cosi’ abbiamo visto che, in linea con il Capograssi, si riscontra oggigiorno una mancata tutela diretta dell’individuo perche’ il diritto moderno spesso difende esclusivamente il singolo in via subordinata rispetto a quegli insiemi che nella societa’ sono inevitabilmente piu’ grandi di lui: la nazione, lo Stato, l’associazione, la categoria, la lobby, il partito.
Da qui il problema del diritto contemporaneo: ristabilire un rapporto armonico tra il cittadino, il giudice, l’ordinamento giuridico, lo Stato
E cosi’ occorre ridisegnare i contorni di un rapporto che possa consentire di ristabilire la giusta posizione dell'individuo nella societa' e soddisfare l'insopprimibile esigenza di giustizia a cui l’uomo anela.
Per fare tutto questo occorre rimettere al centro dell’ordinamento il singolo
Le norme, gli istituti giuridici, gli organi giudiziari, i difensori, esistono in quanto per prima cosa esiste lui, il singolo rispetto al quale occorre dare giustizia. Naturalmente l’esigenza di avere giustizia nell’uomo deve essere soddisfatta tenendo conto anche altre componenti del sistema giustizia, perche’ sono tutte indispensabili.
Ma al primo posto deve essere posto l’individuo.
E, anche al centro del diritto del lavoro deve essere messo l’uomo.
LA PARTECIPAZIONE FINANZIARIA DEL LAVORATORE AI PROFITTI DELL’AZIENDA
A - GLI ELEMENTI DEL CONTRATTO DI LAVORO
La tradizionale configurazione del contratto di lavoro pone correttamente l’accento sulla sua principale caratteristica : la situazione di subordinazione in cui la parte lavoratrice viene a trovarsi rispetto all’imprenditore.
Dalle stesse norme del codice civile si ricava tale elemento in quanto si stabilisce che il prestatore di lavoro subordinato “si obbliga a collaborare nell’impresa . . . alla dipendenza e sotto la direzione dell’imprenditore( art. 2094 c.c.) e che “l’imprenditore e’ il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”( art. 2086 c.c.
La subordinazione del lavoratore si esprime da parte del lavoratore principalmente nei doveri di fedelta’ e di obbedienza e da parte dell’imprenditore nel potere direttivo e disciplinare rispettivamente imposti e riconosciuti da precise norme del codice.
Nonostante l’elemento della subordinazione debba considerarsi elemento portante e indispensabile per l’organizzazione della produzione e nonostante rifletta quella che e’ effettivamente una realta’ materiale del mondo dell’impresa, l’individuazione di esso come elemento intorno al quale configurare o meno il rapporto di lavoro rispetto al rapporto di diversa natura non ha giovato molto all’enucleazione di alcuni aspetti profondi della natura del lavoro.
Ma attualmente sono presenti nella dottrina e nella pratica in materia alcuni aspetti del contratto di lavoro che ne hanno ampliato la prospettiva.
Il discorso non e’ puramente teorico, ma ha effetti importanti, che si riflettono direttamente su uno dei problemi principali della nostra epoca, quello della difficolta’ di trovare lavoro. E comunque il lavoro risulta sempre piu’ costrittivo e senza garanzie.
Si avverte una tendenza che sembra inarrestabile ed al di sopra di qualsiasi controllo e al riguardo si auspica un piu’ rilevante intervento dello Stato.
Eppure, la chiave se non per la risoluzione di tutti i problemi del mondo del lavoro, ma quantomeno per l’incisivo attenuamento degli stessi e’ a portata di mano.
Occorre considerare che nell’attivita’ del lavoro il lavoratore, come uomo, esercita una delle piu’ alte facolta’ umane e spirituali.
Occorre rimettere questo elemento al centro della tutela giuridica e sociale. Non l’azienda, non l’impresa, non gli interessi sociali, non il solo dipendente, ma l’uomo.
L’uomo e cioe’ lo spirito dell’uomo che opera attraverso il lavoro, deve essere portato al centro dell’ordinamento giuridico.
D’altronde, nell’insegnamento di uno dei maestri del diritto contemporaneo, Giuseppe Capograssi la grande crisi del diritto moderno. E quindi della civilta’ moderna, e’ da ricercare nel fatto che l’uomo non e’ piu’ al centro dell’ordinamento. “Al posto delle persone subentrano le cose….” afferma il Capograssi, e prosegue: “ la societa’ stessa cessa di essere una societa’ di persona: diventa un insieme di processi produttivi ed obiettivi……Di conseguenza, per far vivere la societa’ bisogna seguire la volonta’ obiettiva della cose e non la volonta’ subiettiva degli individui.
Tuttavia, la nostra Costituzione delinea un progetto di società e di stato al cui centro colloca la persona umana, l’uomo (1)
I diritti sono, prima ancora che della società e dello Stato, dell’uomo stesso. E l’uomo visto dalla nostra costituzione è l’uomo concepito nei momenti essenziali della sua esistenza, quello che si realizza nella società nella sua multidimensionalità, materiale ed immanente, spirituale e trascendente (2).
Infatti, la Costituzione garantisce tutta una serie di diritti civili, politici e sociali, che riguardano l’uomo, ma altresì tutta una serie di altri valori che si riconnettono alla personalità dell’uomo, valori che emergono dalla realtà sociale (3).
E tali valori devono essere realizzati nell’ambito di un armonico rapporto con le formazioni sociali e soprattutto in materia lavorativa.
In particolare, nella nostra Costituzione era stato mirabilmente individuata la regola che stabilisce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende ( art. 46 Cost.) principio che tuttavia, non e’ stato applicato.
B – LA PARTECIPAZIONE FINANZIARIA DEI LAVORATORI
Il principio costituzionale della partecipazione del lavoratore subordinato alla gestione significa che egli puo’ compartecipare alla realta’ gestionale ed economica dell’azienda e pertanto rappresenta lo strumento migliore per ricondurre al centro della materia del lavoro l’uomo. (4)
Purtroppo, l’art. 46 della Costituzione che prevede il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, proprio perche’ probabilmente l’articolo non si sposava con un modo di pensare armonico del problema lavoro, non e’ stato applicato.
Tuttavia, l’aspetto positivo e’ che nuove forme di retribuzione e di partecipazione finanziaria sono state adottate.
Intanto il concetto di giusta retribuzione di cui all’art. 36 Cost( il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita’ e alla qualita’ del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa) e’ divenuto un articolo direttamente applicabile ai rapporti contrattuali per via giudiziale.
Inoltre, sono state tentate varie forme di una variazione della retribuzione legata alla produttivita’ e redditivita’, anche se in Italia, a differenza di altre nazioni, non hanno avuto gran successo.
Gli e’ che il nostro sistema delle relazioni industriali e’ risultato particolarmente timido rispetto a tali forme partecipative, anche perche’ sussiste una tradizionale diffidenza rispetto al mondo imprenditoriale
In realta’ l’insuccesso italiano di queste nuove formule e’ da addebitarsi principalmente al sistema. In particolare tali riforme , in quanto non accompagnate da una opportuna incentivazione di tipo fiscale o previdenziale, come avviene in Francia, erano destinate al fallimento.
Non si tratta tuttavia di un fatto negativo, perche’ se il sistema – comprensivo purtroppo del comportamento dei sindacati - ha determinato un insuccesso delle nuove figure, quest’ultime hanno lasciato il segno nell’ambito dei rapporti lavorativi.
Lo dimostra il fatto che la materia e’ ancora oggetto di utili iniziative in tal senso.
Sotto questo aspetto, giova ricordare la sempre maggiore diffusione ed attenzione del legislatore all’istituto della associazione partecipazione; al riguardo, la tutela economica del socio lavoratore ha trovato nella L. n. 142/2001 il suo compimento. Tale legge ha notevole importanza perche’ distingue il socio lavoratore non subordinato e il socio lavoratore subordinato. Inoltre consente di erogare anche un trattamento che equivale ad un utile di gestione.
In tutta Europa, poi, vi e’ uno spiccato interesse verso le forme di partecipazione finanziaria dei lavoratori all’impresa. Tale interesse ha trovato spazio nella Direttiva 22.9.1994 riguardante una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese a cui il legislatore italiano ha dato attuazione con il d.l.g. 2.4.2002 n. 74.
Inoltre il regolamento n. 2157 del 2001, relativo allo Statuto della societa’ europea, prevede che le norme relative al ruolo dei lavoratori nella societa’ europea siano oggetto della direttiva 8.10.01 n. 2001/86/CE, che completa lo statuto della societa’ europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori. Anche gli artt. 21 e 22 della Carta Sociale Europea resa esecutiva con L. 9.2l.1999 n. 30, sanciscono il diritto del lavoratore all’informazione, alla consultazione ed alla partecipazione.
Infine la Direttiva 11.3.2002 n. 2002/14/CE stabilisce prescrizioni minime riguardo al diritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori (5)
Questo nonostante il fatto che in materia occorre affrontare incertezze terminologiche e concettuali che concernono una materia, quella della partecipazione finanziaria, che abbraccia numerosi e complessi istituti difficilmente armonizzabili.
In ogni caso, il panorama internazionale presenta tutta una serie di istituti rientranti nel sistema della partecipazione finanziaria dei lavoratori. Si evidenzia, in Germania, sia l’incentivo alla sottoscrizione di quote sociali dell’impresa con esonero parziale dall’ìmposta sul reddito e dai contributi sociali, sia i programmi che permettono ai dipendenti di divenire azionisti grazie a prestiti senza interesse da parte dei datori di lavoro. Si riscontra , in Belgio, una legge che riguarda incentivi per l’acquisto di azioni di una impresa da parte dei dipendenti tramite deduzione fiscale. In Spagna, il legislatore ha previsto una nuova regolamentazione delle societa’ di lavoratori, cioe’ quelle societa’ in cui la maggioranza del capitale sociale e’ in mano ai lavoratori. In Olanda una legge tende a favorire l partecipazione al capitale e agli utili e a promuovere il risparmio dei dipendenti. Nel Regno Unito, tra l’altro, e’ previsto un fondo di investimento a favore dei dipendenti. In Grecia ed in Irlanda il governo ha incoraggiato l’istituto in questione.
E’ evidente che spesso si intende realizzare soltanto la c.d. “partecipazione debole” , cioe’ quella partecipazione del dipendente al capitale di un’impresa intesa come strumento per aumentare la sua sensibilita’ sulle performances dell’impresa e come tale come meccanismo di incentivazione. Tuttavia, questa ha gia’ una sua utilita’ ; comunque e’ innegabile che la partecipazione ha piu’ possibilita’ di successo qualora venga collocata in un piu’ ampio e completo quadro di coinvolgimento dei lavoratori.
Questo profilo e’ di estrema importanza e si potra’ attuare tramite confronti con informazioni e consultazioni tra i lavoratori e i rappresentanti dell’impresa su tutte le questioni aziendali.
In sostanza sulla positivita’ della partecipazione come complesso di diritto di informazione e di consultazione dei lavoratori non vi possono essere dubbi. Sulla partecipazione economica e finanziaria al rischio o al capitale d’impresa neppure. I dubbi sorgono rispetto alla partecipazione come presenza dei rappresentanti dei lavoratori negli organi societari di amministrazione o di vigilanza
Sul piano piu’ propriamente italiano la formula fatta propria dalla Confindustria e’ quella del considerare positive le azioni date ai dipendenti se le imprese sono quotate in borsa, ma senza obiettivi di cogestione.
Si tratta di una posizione sulla quale si puo’ convenire, anche perche’ l’obiettivo della partecipazione finanziaria dei lavoratori all’impresa, puo’ non investire, a meno che le parti espressamente non lo vogliano, anche la gestione dell’azienda. Questo, nonostante l’art. 46 della Costituzione, come abbiamo visto, preveda il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende.
Questo perche’ la partecipazione, a differenza di altre forme di collaborazione nel lavoro e del lavoro nelle cooperative ( nelle quali i lavoratori hanno diritto a partecipare sia gli utili che al processo decisionale), non implica necessariamente poteri decisionali.
Ma l’aspetto piu’ positivo della partecipazione non riguarda la cogestione, ma riguarda il profilo piu’ personale del lavoratore perche’ solo questo regime consente che quest’ultimo possa considerare che ogni gesto da lui compiuto durante il lavoro in azienda non venga utilizzato soltanto dall’azienda, ma sia soltanto per una piccola percentuale, produca effetti patrimoniali anche nei suoi confronti.
L’istituto in questione, per trovare applicazione necessita di due presupposti imprescindibili, almeno in ambito europeo: l’adeguamento della normativa giuridica e il coinvolgimento delle parti sociali.(6)
L’istituto in questione, dovrebbe riguardare tutte le tipologie di lavoro subordinato per essere esteso ai dipendenti delle societa’ controllate, controllanti o collegate, nonche’ anche agli ex dipendenti ancora in possesso di azioni di societa’. Ma soprattutto, i piani di partecipazione dovrebbero applicarsi ai lavoratori utilizzati mediante contratti di collaborazione coordinata e continuativa e a progetto (7)
La partecipazione finanziaria, inoltre, dovrebbe riguardare anche le piccole e medie imprese, poiche’ anche in tale ambito il lavoro del dipendente deve essere rivalutato dallo stesso verso un fine che non e’ solamente il salario o lo stipendio.
Naturalmente, i piani dovrebbero essere definiti unilateralmente dall’impresa ma concertati in sede sindacale.
Per la realizzazione di tale obiettivo occorre pero’ che l’attuale atteggiamento spesso ideologico nel settore del lavoro passi il testimone a una nuova maniera di considerare il lavoro, in cui l’uomo e’ al centro e le parti sociali armonizzino le proprie scelte nel contesto di un unico insieme nel quale i singoli elementi del fattore lavoro – l’uomo e le parti sociali - fanno parte di un tutto inscindibile , una cosa completamenente unitaria, in maniera tale che se una parte e’ in difficolta’ l’altra non puo’ non risentirne negativamente.
Le politiche governative, poi, dovrebbero pesantemente operare tramite sgravi fiscali.
Inoltre, la parte aziendale dovrebbe compiere il movimento concettuale piu’ incisivo. Si tratta di comprendere che a qualsiasi soggetto che svolga attivita’ di lavoro in favore di un altro soggetto per qualsivoglia fine considerato lecito, deve riconoscersi anche un piccolo frutto di quello che in comune si e’ realizzato. Tale frutto puo’ essere minimo, ma non puo’ limitarsi al mero salario. Deve trattarsi di una partecipazione al guadagno comune, che puo’ essere anche molto limitata, ma che non puo’ del tutto mancare. Il salario puo’ allora costituire la gran parte del dovuto, ma una piccola parte deve costituire una partecipazione.
Positivamente deve essere visto il Profit Related Pay, previsto nel Regno Unito, con il quale si versa ai dipendenti una somma legata agli utili d’impresa in cui lavorano; tale partecipazione puo’ aggiungersi allo stipendio o sostituirvisi in parte ed il suo ammontare puo’ variare tra l’1% ed il 20% della remunerazione totale. Il sistema prospettato e’ simile ai plans de participation francesi che prevedono l’accantonamento di una parte degli utili dell’impresa in un fondo destinato ai dipendenti nel quadro di ampi incentivi fiscali
Al sistema prospettato si avvicina anche il regime di interessenza francese (L del 25.7.94) e cioe’ un accordo tra lavoratori e datore di lavoro, che permette di destinare ai dipendenti parte degli utili d’impresa mediante erogazione di premi in denaro. Il premio versato e’ legato all’aumento di produttivita’ e alla realizzazione degli obiettivi dell’azienda. Le erogazioni sono deducibili dal reddito imponibile dell’impresa ed esenti da contribuzione previdenziale. Il premio versato al dipendente non e’ soggetto ad imposta se viene versato su un piano di risparmio aziendale
In sostanza, con il regime auspicato non si elimina il profitto che spetta a chi ha investito, non si elimina il profitto di chi ha avuto una idea, non si elimina il reddito d’impresa,ma si inserisce l’elemento partecipativo nel quadro del rapporto contrattuale lavorativo.
Nel tempo, il lavoro e cambiato ed e’ passato dalla vecchia idea dell’organizzazione del lavoro della fabbrica fordista incentrata cioe’ su rapporti giuridici statici di mera subordinazione e gerarchia a quella nuova che rifugge la contrapposizione tra lavoro automono e lavoro subordinato (8)
Compartecipando con l’azienda il lavoro cambia e si avvicina anzi si inquadra nell’ottica di sostituire al salario condizioni contrattuali di spartizione dei frutti delle comuni prestazioni tra il datore di lavoro e il lavoratore.
Ed in effetti, se ci si pensa bene, se il lavoro viene sentito dal lavoratore come qualcosa che gli consente di costruire qualcosa anche per se’ e non solo per il datore di lavoro, tale aspetto creera’ un impulso benefico alla attivita’ lavorativa che egli compie. Tale impulso si riverberera’ non solo nei confronti dell’attivita’ del datore di lavoro ma anche verso la societa’ tutta.
Diversi studi in materia hanno dimostrato una positiva associazione tra partecipazione finanziaria del lavoratore e realizzazione degli obiettivi aziendali, anche se dovrebbe essere accompagnato da provvedimenti fiscali e previdenziali favorevoli.
Tuttavia, affinche’ la partecipazione finanziaria del lavoratore abbia degli effetti generali sull’intero tessuto sociale e’ necessario che l’intero sistema la consideri come la forma piu’ naturale e produttiva del mondo del lavoro. In sostanza, la partecipazione finanziaria dovrebbe costituire l’elemento portante nel nuovo sistema del lavoro.
In questo quadro attivita’ svolte in un puro regime di subordinazione come avviene adesso non dovrebbero essere consentite, se non come eccezioni e per particolari obiettivi di natura sociale.
In sostanza chi vuole l’aiuto di un lavoratore per realizzare qualcosa con lui dovrebbe essere messo dall’ordinamento nella condizione di riconoscere al suo aiutante una spartizione dei frutti delle comuni prestazioni, magari minima, spesso attuata una parte tramite partecipazione, una parte tramite salario.
Chi vuole raggiungere un proprio fine tramite il lavoro di un altro soggetto o accetta di corrispondere a tale soggetto una partecipazione, seppur minima del proprio ricavato, oppure non puo’ realizzare tale fine, a meno che non decida di farlo da solo. Gli si puo’ consentire di scegliere un lavoratore che si accorda con lui a condizioni partecipative piu’ favorevoli, ma non dovrebbe mai avere la possibilita’ di eliminare del tutto la partecipazione, tranne casi determinati e per particolari obiettivi di natura sociale.
In sostanza il lavoro non dovrebbe giammai essere concepito con l’esclusione della partecipazione finanziaria, sia pur in minima misura, della parte piu’ debole
Tale posizione puo’ sembrare troppo rigida e ingiusta, in ogni caso sopraffacente la domanda e l’offerta di lavoro come spontaneamente tendono a incontrarsi. Ma tali variabili non devono piu’ ignorare che l’impulso del lavoratore, nel profondo, tende ad un riconoscimento minimo finanziario rispetto ai frutti comuni realizzati.
La realizzazione non si presenta senza rischi. Una cattiva applicazione pratica della partecipazione potrebbe comportare effetti peggiori di quelli del lavoro subordinato puro e crudo, ma naturalmente una legislazione ponderata potrebbe tranquillamente tutelare il lavoratore rispetto ad essi consentendogli di verificare e controllare l’effettiva correlazione tra i risultati economici dell’impresa e il salario percepito. Al riguardo, in Francia, e’ stato istituito il Consiglio Superiore della Partecipazione per vigilare proprio sui questi rischi.
C – LA PARTECIPAZIONE COME MEZZO PER LA RISOLUZIONE O PER L’ATTENUAZIONE DEI PROBLEMI ATTUALI NEL MONDO DEL LAVORO
La politica mondiale, per risolvere i problemi del lavoro, si e’ tutta concentrata sulla flessibilita’ della prestazione lavorativa, ma quest’ultima non migliora le condizioni del lavoratore, anzi le peggiora, mentre i risultati sul piano generale sono da considerarsi modesti.
Anche il ricorso alla flexicurity, sposato dalla Comunita’ Europea e mediato dall’esperienza danese, come tentativo di coniugare insieme una maggiore flessibilita’ del mercato del lavoro con una maggior sicurezza rispetto alla occupabilita’,sembra non semplicemente applicabile nelle altre nazioni.
Peraltro, le modifiche introdotte in materia sono osteggiate dai lavoratori che hanno un buon livello giuridico di tutela – i c.d. insider - e le istituzioni tendono a tutelare gli interessi dei soggetti gia’ inseriti nel mercato. Nel frattempo, il problema di inserire nel mercato stabile del lavoro giovani ed anziani lavoratori – i c.d. outsiders – si rende sempre piu’ difficile.
Di fatto, la situazione non e’ cambiata e purtroppo dall’inizio del secolo si va sempre piu’ verificando un impoverimento della considerazione del lavoro nel suo aspetto umano. (9)
Il contesto generale e’ quello della globalizzazione dove se possibile l’elemento umano del lavoro conta ancora meno. Le imprese per diminuire il peso degli oneri sociali ritenuti responsabili del costo di lavoro eccessivo hanno cominciato a utilizzare il c.d. outsourcing, cioe’ l’esternalizzazione di interi processi produttivi per aumentare l’efficienza e la produttivita’ dell’impresa e diminuire i costi.
Attualmente, gli effetti della mancata collocazione del singolo al centro del sistema lavoro, o della mancata tutela umana del lavoratore al centro del diritto del lavoro, produce conseguenze nefaste. I giovani sono molto penalizzati perche’ non riescono a trovare un lavoro a tempo indeterminato e non possono pianificare la propria vita, mentre i propri genitori usufruiscono di tutta una serie di protezioni sociali.
Il lavoro e’ diventato precario.
La partecipazione finanziaria e’ l’unica risposta obiettiva rispetto al problema della diminuzione del lavoro e della precarizzazione dello stesso.
Per utilizzare le parole della Commissione europea (Memorandum sulla Societa’ Europea del 1988), la partecipazione dei lavoratori favorisce il buon funzionamento e il successo dell’impresa grazie all’instaurazione di relazioni stabili fra direzione e dipendenti sul luogo del lavoro; non si riduce alla pace sociale ma “concorre al rafforzamento della competitivita’ dell’impresa e dell’economia del suo insieme, nonche’ alla creazione dei posti di lavoro e sotto questo profilo, rappresenta una condizione imprescindibile per uno sviluppo economico duraturo”(10)
Quando si parla di responsabilita’ sociale d’impresa ( 10 bis)non puo’ non considerarsi che la partecipazione finanziaria del lavoratore ai profitti dell’impresa. Quest’ultima appare costituire uno dei piu’ importanti comportamenti etici da adottare da parte dell’impresa che voglia effettivamente rivolgersi a tutti i consociati sulla base di una politica gestionale che nel primario rapporto con il lavoratore persegue il rispetto di diritti morali e sociali.
In effetti, la partecipazione migliora la vita lavorativa “rimuovendo la percezione unicamente strumentale della prestazione ed aumentando l’individualita’ e l’autostima del lavoratore”(11)
La partecipazione produce obiettivamente un minore assenteismo, una riduzione dei conflitti interni all’impresa; facilita la costruzione di un rapporto di lavoro continuato e duraturo; consente all’impresa di ottenere fondi senza ricorrere a finanziatori esterni e di far risparmiare rispetto ai costi.
L’istituto in esame, verosimilmente, come da molti ritenuto, potrebbe risolvere i problemi legati all’inflazione e alla disoccupazione in quanto si propone di mantenere un livello alto e costante di occupazione senza rischiare di incorrere in una inflazione inarrestabile.
In effetti la partecipazione finanziaria del lavoratore risulta invece una autentica risposta agli attuali problemi del mondo del lavoro: forse non potra’ risolvere di colpo quelli legati all’inflazione e alla disoccupazione, ma potra’ dapprima attenuarne gli effetti; ma in ogni caso costituirebbe l’avvio di un nuovo ciclo sociale in cui al centro del lavoro viene ricollocato l’uomo.
Roma, 4.2.2008 Avv. Maurizio Cerchiara
(1) N. OCCHIOCUPO, Liberazione e promozione umana nella Costituzione, Giuffré, 1988, p.15; G. CAPOGRASSI, Il diritto dopo la catastrofe, Scritti, giuridici in onore di F. Carnelutti, Milano, 1950; cfr, inoltre A. RUGGERI - A. SPADARO, Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 1992.; in tema di rilevanza dei diritti dell’uomo nella Costituzione, A. CERRI, Il principio, cit. p. 1828;
(2) G. CAPOGRASSI, L’esperienza in concreto, in Opere, III, Milano, 1959, Il diritto dopo la catastrofe, cit.
(3) N. OCCHIOCUPO cit., p. 76; in senso opposto, F. COLACE, Norme precettive e norme programmatiche nella Costituzione, in Giust. pen., 1951, 136.
(4) Cfr. in tema di riproducibilita’ dei problemi sociali e giuridici nel campo del diritto del lavoro, LIPARI N., Luigi Mengoni ovvero la dogmatica dei valori, Riv. Trim. dir proc. Civ., 2002, 1063; M. GRANDI, Lavoro e valori : note sulla prospettiva assiologica di Luigi Mengoni. Sul rapporto diritti della persona e contratto di lavoro: R. DEL PUNTA, Diritti della persona e contratto di lavoro, Gior. Dir. lav. e rel. ind., 2006, 255; M.P.MONACO, Mercato, lavoro, diritti fondamentali, Riv. giur. Lav., 2001, 299; G.S. PASSARELLI, Le nuove frontiere del diritto del lavoro ovvero il diritto dei lavori, ADL, 2001, 235
(5) Sulla partecipazione in ambito comunitario, cfr: G.ARRIGO, La partecipazione dei lavoratori nel diritto comunitario, Dir. Lav., 2000,I, 381; ed inoltre: N. MIRANDA, La nuova disciplina sul lavoro a termine alla luce della normativa comunitaria, D & L , 2004, 731
(6) In ossequio alla raccomandazione n. 94/444 del Consiglio della Comunita’ Europea
(7) Cosi’ anche BIAGI M., La partecipazione azionaria dei dipendenti tra intervento legislativo e autonomia collettiva, in csmb.unimo.it
(8) M. TIRABOSCHI, Tre anni di Legge Biagi, bilancio e prospettive, dir. rel. ind., 2206,1097
(9) A. PICCININI, Le vie d’uscita dalla precarizzazione, lav. nella giur., 2006, 1175
(10) Parimenti la corte costituzionale tedesca evidenzia il carattere di “vincolo di socialita’” della partecipazione che non puo’ non essere ritenuta inidonea o non necessaria a contribuire a “mantenere la competitivita’ dell’impresa e dell’economia della Comunita’”, come impone l’art. 136 del Trattato dell’UE.
(10 bis) Cfr: Corporate Social responsability, encouraging best behaviour, in http// ec. Europa.eu/enterprise and industry; SACCO P.G, VIVIANI M., La responsabilita’ sociale d’impresa: prospettive teoriche nel dibattito italiano, Economia Pol. 2008, 317.
(11)LIBBRA S. Obiettivi e ragioni socio-economiche a favore della partecipazione finanziaria in csmb.unimo.it